L’ascolto psicologico dal punto di vista psicodinamico

di Adelina Detcheva

L’ascolto psicologico è un processo continuo fondamentale in qualunque tipo di intervento clinico. Si tratta di un ascolto attivo, polisensoriale per la persona del clinico, che si predispone ad accogliere e ricevere ciò che sente. Si ascolta ciò che viene detto e ciò che non viene detto, vale a dire il silenzio. 

Chi ha occhi per vedere e orecchi per intendere si convince che ai mortali non è possibile celare nessun segreto. Chi tace con le labbra chiacchiera con la punta delle dita, si tradisce attraverso tutti i pori. Perciò il compito di render coscienti le cose più nascoste dell’anima è perfettamente realizzabile (Freud, 1901).

Questa frase di Freud del 1901, ancora terribilmente vera tutt’ora, ad una prima lettura può sembrare un po’ spaventosa per chi si trova a chiedere aiuto professionale. Sembra infatti che il clinico sappia leggere l’inconscio di un paziente che appare piuttosto come “trasparente”, vulnerabile, indifeso. Dà, in parallelo, un’immagine del clinico onnipotente, visionario, depositario di poteri soprannaturali indescrivibili a parole. 

Nella realtà, nel 2021, possiamo riformulare questa fantasia descrivendo il processo con maggior precisione: il clinico è un professionista allenato a comprendere le dinamiche dell’inconscio tramite un percorso proprio di approfondimento psicoanalitico. In altre parole, il curante ha imparato il mestiere di paziente, si è messo in condizione di divenire sensibile agli aspetti inconsci della propria vita psichica. In virtù di questa competenza, egli è in grado di ricevere ciò che il paziente gli comunica al meglio che può per metterlo in grado di capire cosa lo affligge e come questo può fornirgli il suo aiuto: il paziente, parafrasando Bion (1983), è il nostro miglior collega

L’ascolto psicologico è una funzione della mente del clinico. Nello studio clinico, curante e paziente si mettono insieme in ascolto della profondità della vita psichica.

Bibliografia

Bion W.R. (1983). Seminari italiani. Borla: Roma, 1985,

Freud S. (1901). Frammento di un’analisi d’isteria. Il caso clinico di Dora. Opere IV. Bollati Boringhieri: Torino, 1977.

L’inconscio, ovvero l’inconscio e la sua relazione con la coscienza

di Adelina Detcheva

L’inconscio è tutto ciò che non sappiamo di noi. Non penso che arrivi mai un momento, come si augurava Freud (1923), in cui “Là dov’era Es, deve diventare Io”, ovvero in cui tutto l’inconscio diventi coscienza. E forse un’aspettativa del genere non è nemmeno desiderabile. Dopo tutto, perché mai dobbiamo venire a conoscenza di tutto ciò che è in noi? Come può portarci una cosa del genere a stare meglio con noi stessi e con gli altri?

Lascio aperto questo interrogativo, tentando di approfondire meglio ciò in cui consiste questa zona così misteriosa della nostra vita psichica.   

L’inconscio è l’ignoto dentro di noi. È il motore, la sorgente dei nostri più profondi desideri (Freud, 1923), la zona di contatto con il nostro corpo (Freud, Groddeck, 1917). L’inconscio è più vicino alla comunicazione non verbale piuttosto che a quella verbale. E non a caso: gli studi di neuropsicoanalisi (Giacolini, Pirrongelli, 2018) collocano la sua sede nel sistema limbico, ovvero in quell’insieme di strutture cerebrali e circuiti neuronali che costituiscono la parte più antica e profonda del nostro cervello, deputato all’emergenza delle emozioni e degli affetti (e non solo!). 

Forse, in accordo con gli studi scientifici aggiornati (Schore, 2008) più che sull’inconscio, conviene soffermarsi sulla relazione tra l’inconscio e la coscienza. Perché, in fondo, è questo il rapporto intrapsichico basilare che viene rafforzato nel corso di una psicoterapia psicodinamica. Tale rapporto è tutt’altro che semplice: tra queste due sfere della vita psichica possono svilupparsi una serie di relazioni. Vi può essere negazione: la coscienza ignora le emozioni. Vi può essere conflitto: le forze inconsce lottano con la coscienza come in un campo di battaglia, consumando l’intero impianto energetico della persona. Vi può essere collaborazione: la parte più matura della personalità accoglie e sente gli affetti. Gli affetti sono la nostra bussola interna, orientano la percezione e la comprensione del proprio mondo interno ed esterno. La terapia psicodinamica sostiene e cura la relazione di collaborazione tra la coscienza e l’inconscio. In fondo, le forze inconsce possono essere comprese e usate giorno dopo giorno come le fonti della vitalità della vita psichica, arricchendo, e di tanto, la realtà personale. 

Bibliografia

Freud S., Groddeck G. (1917). Carteggio Freud-Groddeck. Adelphi: Milano, 1973.

Freud S. (1923). L’Io e L’Es. Opere IX. Bollati Boringhieri: Torino, 1978. 

Giacolini T., Pirrongelli C. (2018). Neuropsicoanalisi dell’inconscio. Alpes: Roma. 

Schore A. N. (2008). La regolazione degli affetti e la riparazione del sé. Astrolabio: Roma.